sabato 21 marzo 2015

L'astinenza dal consumo di carne nella spiritualità dei primi cristiani, riflessioni per cambiare il nostro attuale stile di vita. "Dobbiamo cibarci come Adamo prima della caduta, non come Noè dopo il peccato"



Per spiegare la questione del rapporto tra la fede cristiana (nel mio caso anche cattolica) e il vegetarianesimo come scelta alimentare, o comunque la moderazione nel consumo di carne e pesce, partirò da questa frase attribuita a San Clemente Alessandrino (Atene 150 d.C. ca – Cappadocia 215 d.C. ca) che  fu un teologo e apologeta cristiano, uno dei Padri della Chiesa.


“La carne ottenebra l’anima. Dobbiamo cibarci come Adamo prima della caduta, non come Noè dopo il peccato”.


Come questo cristiano del II secolo, anche altri e la maggior parte dei Padri della Chiesa consideravano auspicabile l’astinenza dal consumo di carni.
Un’amica biblista alcune settimane fa mi espose alcune sue riflessioni che riassumerei nel modo seguente:
Con il fratricidio di Caino, il quale uccide Abele suo fratello, è rovinato inoltre il rapporto di innocente fratellanza all’interno del genere umano.
L’uomo, da Custode del Creato diventa un dominatore violento, spesso mosso da secondi fini, dalla cupidigia, dalla brama di possesso, e diventa uno sfruttatore delle risorse del Creato e un suo distruttore, al punto che ogni creatura ha terrore di lui («Il timore e il terrore di voi sia in tutti gli animali della terra e in tutti gli uccelli del cielo» Gn 9,2).
L’uomo diventa carnivoro («Ogni essere che striscia e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe» Gn 9,3).
C’è uno slittamento linguistico che fa supporre una ratifica ( o una permissione?)  divina al mutamento di regime alimentare dell’uomo. Infatti possiamo rinvenire un passaggio dall’iniziale volontà di Dio («Ecco Io [il corsivo è mio] vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo», Gn 1,29) alla Sua presa d’atto della ribellione umana: («Tutto ciò che vive sulla terra o nel mare sarà vostro cibo come un tempo mangiaste le erbe verdi che Io vi diedi tutte» Gn 9,3, in traduzione letterale dal greco). 
Restano comunque delle restrizioni: «Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè con il suo sangue» (Gn 9,4). Dio si riserva il potere sulla Vita (nella dimensione più profonda), è l’unico a poterne disporre, come attestano Matteo («Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima», Mt 10,28)”

Oggi il cristiano medio (il cattolico medio) direbbe però che Gesù ne mangiava, citando magari l’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Persino dopo la Resurrezione, apparso agli apostoli, Gesù mangiò anche del pesce arrostito davanti a loro allo scopo di mostrare loro che il suo era un vero corpo e non l’apparizione di uno spirito.
Personalmente, a differenza di altri che sostengono che Gesù si fosse sempre astenuto, durante la sua vita terrena, dal mangiare carne, io penso che Gesù ne mangiò. Penso che mangiò quel pesce arrostito e mangiò l’agnello a Pasqua, secondo la tradizione del suo popolo.
Tuttavia, mi sento di aderire, per come posso, alla logica di astinenza dalle carni (inserita in un contesto etico e mistico, di ascesa morale e spirituale) dei Padri della Chiesa, invitando i cristiani attuali a comprenderne le motivazioni e anche a contestualizzare il comportamento di Gesù e dei santi. Gesù era un ebreo e non ha mai rinnegato la sua cultura e tradizione, né la legge del suo popolo. Diceva infatti che la sua venuta era un compimento della legge, e non una sfida o un attacco ad essa. Gesù era un artigiano, un falegname, probabilmente si guadagnava il necessario per vivere (senza però diventare ricco). Non ebbe mai bisogno di mendicare, aveva una casa modesta, quella in cui viveva con la famiglia, aveva degli indumenti e quanto era insomma necessario. Probabilmente mangiava pochissima carne, le donne spesso procuravano il cibo e per questo andavano ai mercati regolarmente allestiti nelle città e anche nei villaggi, l’alimentazione era costituita da pane, olive, latte di capra e di pecora da cui poteva essere ricavato eventualmente del formaggio, forse uova di gallinella o di quaglia, fichi, alcuni legumi, miele (con cui venivano anche preparati sorta di dolci), frutta di qualche altro tipo, qualche verdura a foglia (con legumi e verdure era anche possibile preparare sopra di zuppe calde) e infine pesce, quaglie, colombi, agnelli, capretti. Dubito che gli ebrei mangiassero carne di cavallo, di manzo o di cammello. Nel Vangelo  sono nominati dei  maiali (i quali poi annegano in massa a causa di una infestazione da parte di alcuni demoni che avevano chiesto a Gesù il permesso di entrare nei porci dopo essere stati cacciati da un uomo – è probabilmente attribuibile alla sola azione diabolica l’incidente dei porci, e non alla volontà di Cristo su quei maiali). Un sacerdote mi disse che Gesù non mangiava carne di maiale (perché allora allevavano i porci in quella regione che Lui stava percorrendo?). Non lo so, però nel Vangelo è scritto che Gesù dichiarò puri tutti gli alimenti, pertanto se ne deduce che secondo Gesù mangiare carne di maiale non rendeva un uomo impuro per contro “alla purezza” (?) conservata da chi aveva mangiato un capretto. Pertanto, secondo Gesù non esiste una distinzione tra capretto=cibo puro VS maiale= cibo impuro.
Erano probabilmente assenti nella dieta di Gesù tutti gli alimenti, alcuni dei quali sono oggi comunissimi nella nostra dieta, che sono arrivati a noi, attraversando l’Oceano, in seguito alle esplorazioni delle Americhe. Quindi non penso che Gesù potesse avere mai mangiato le patate, per esempio.
Gesù mangia del pesce. Questo è deducibile dai Vangeli. Teniamo conto che alcuni dei suoi apostoli erano pescatori e la pesca era una delle principali fonti di sopravvivenza per tutti i villaggi e i paesi che si trovavano sulle rive del lago oggi chiamato di Tiberiade. Era gente che viveva di pesca e il lago doveva avere una discreta fauna ittica. Gesù durante la vita cosiddetta “pubblica”, visse di provvidenza perché non svolgeva più il mestiere di falegname. Dai Vangeli sappiamo che riceveva offerte da persone più o meno abbienti, che aveva anche delle amicizie tra i ceti più  benestanti (il suo amico Lazzaro, per esempio, era una persona ricca) e sappiamo che diverse donne, mogli di uomini benestanti, tra le quali anche alcune donne romane, lo seguivano spesso e aiutavano economicamente sia Gesù che i suoi apostoli.
Gesù viveva di provvidenza, dunque, quindi non poteva scegliere “il menu del giorno”. Spesso ospite in questa o quella casa, mangiava quanto gli veniva offerto, senza rifiutare il pasto gratuitamente offerto, perché c’era solo quello. Raramente carne, più spesso un po’ di pesce, ma solitamente pane, olive, legumi vari…In varie occasioni però gli apostoli comperavano cibo, specialmente pane (nel Vangelo è riportato un episodio in cui essi parlano tra loro circa il fatto che si erano dimenticati di acquistarne).
Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci avviene appunto con “la materia prima” messa a disposizione dalle persone. Non è manna che scende dal Cielo, in quanto si parte da qualcosa che è già presente. Questo indica che lo Spirito di Dio agisce sulla base di quanto l’uomo naturalmente possiede, sia materialmente che moralmente. Era insomma povera gente che aveva messo a disposizione quello che aveva, non potendosi permettere alternative in grado di soddisfare il fabbisogno nutrizionale.
Neppure Gesù poteva permettersi alternative: mangiava quanto gli veniva offerto gratuitamente, e chiedeva ai suoi di comperare il pane. Ad eccezione di legumi, uova latte e formaggio, non aveva a disposizione né soia, né tofu, né altri alimenti che oggi sono considerati sostitutivi delle proteine della carne.
La tradizione dell’agnello è biblica e ogni ebreo praticante se ne atteneva durante la Pasqua, e così Gesù, il quale non proibì agli apostoli di mangiare l’agnello durante l’ultima cena che ebbe con loro prima del suo arresto, processo e condanna a morte. Prima di ogni pasto, Gesù benediceva gli alimenti pronti per essere mangiati e poi distribuiva le porzioni ai suoi. E così fece anche quella volta. Tuttavia, istituendo l’eucarestia, egli nuovamente oltrepassa la vecchia tradizione, compiendo ogni attesa del suo popolo, diventando cioè egli stesso “l’agnello sacrificale”. La tradizione cattolica chiama infatti Cristo, il Dio che si fa carne,  “Agnus Dei”, l’Agnello di Dio offerto come vittima e da questo se ne deduce che sacrificare agnelli e colombi non serve più e che ogni altro sacrificio di animali diventa del tutto inutile. In molti passi biblici, è Dio stesso, per bocca dei profeti, a dichiarare il Suo disinteresse nel sacrificio di un animale: è scritto nel Salmo 50 (51) “Tu non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, tu non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi”. 

Il profeta Osea inoltre proclama agli ebrei: 
Così dice il Signore:
Torna, Israele, al Signore, tuo Dio,
poiché hai inciampato nella tua iniquità.
Preparate le parole da dire
e tornate al Signore;
ditegli: “Togli ogni iniquità,
accetta ciò che è bene:
non offerta di tori immolati,
ma la lode delle nostre labbra.

Oggi la Chiesa Cattolica considera molto importante la tutela del creato, c’è una giornata dedicata ad esso nella mia diocesi. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, al paragrafo 2415 (parte terza, sezione seconda, capitolo secondo), si parla di “rispetto dell’integrità della creazione”. Questo è un sentimento importante e responsabile che di certo apparteneva al cuore di Gesù.
In un episodio del Vangelo, Gesù parla con i suoi e dice loro che il Padre che è nei Cieli (il Dio Creatore) provvede a tutte le sue creature. Egli parla della bontà di Dio che ha cuore ogni creatura. Dio si prende cura “dei passeri del cielo e dei gigli del campo”. Pertanto la provvidenza divina e la divina bontà non sono riservate solo agli uomini, ma investono, penetrano, comprendono, abbracciano l’intera creazione. Gesù dice tuttavia ai suoi: “voi valete più di molti passeri”. Di molti, non di tutti i passeri. A chi si stava rivolgendo in quel momento Gesù? Si stava rivolgendo a coloro che, per seguirlo, “avevano lasciato ogni cosa”. Si stava rivolgendo ai santi, ai giusti, a quelli che sono “in Cristo”, che si sono convertiti, quindi si rivolgeva a molti uomini, ma non a tutti gli uomini, in quanto Gesù distingue tra quelli che sono “con Lui” e quelli che sono “contro di Lui”. Pertanto in quel “voi valete” non va messa l’umanità come specie, bensì quanti di essa si orientano al Regno dei Cieli predicato da Cristo, e anche coloro che pur non essendo di religione cristiana sono orientati al bene secondo la logica di Dio e non quella del mondo (perché coloro che invece si fanno corrompere dal mondo perdono la grazia e vivono in condizioni di empietà, perdendo l’amicizia con Dio e l’armonia con il prossimo e con l’ambiente). Si tenga inoltre conto che l’intero discorso circa la redenzione nei confronti degli uomini è volto alla salvezza delle Anime, e a tale salvezza è subordinata la stessa sopravvivenza del corpo fisico, in quanto la salvezza dell’anima è prioritaria rispetto al prolungamento della vita fisica.
Sempre nel Catechismo cattolico è scritto che è lecito servirsi degli animali per provvedere al nutrimento e al vestiario, ma che ciò non può mai avvenire in maniera separata dal rispetto delle esigenze morali, in quanto la signoria che il Creatore ha concesso all’uomo sugli altri viventi non è assoluta, ma esige un religioso rispetto degli animali e dell’ambiente, delle risorse che dovranno essere tutelate anche per il bene dell’umanità futura. Il creato appartiene a Dio e l’uomo lo custodisce e ne è grandemente responsabile.
Affermare che è lecito nutrirsi di carne significa che ciò deve rispondere a mere esigenze fisiologiche e nutrizionali e non va considerato un modo di soddisfare il palato fine a sé stesso. Mangiare carne non ha come finalità il piacere, la ricerca del gusto o la tradizione gastronomica: essa è moralmente lecita soltanto se  giustificata dallo stato di necessità fisiologica. 
San Clemente Alessandrino, distinguendo tra la condizione “prima del peccato di Adamo” (in Eden non era concesso all’uomo di mangiare animali in quanto non ve ne era alcun bisogno) e dopo il diluvio, da ad intendere (come altri mistici e una parte del mondo scientifico attuale) che l’uomo non era originariamente onnivoro come intendiamo noi oggi, ma che la carne è stata introdotta in seguito. Dalla Bibbia si deduce che prima del diluvio gli uomini non mangiavano carne, ma dopo il diluvio Dio ha dato loro questa permissione a fini di sopravvivenza. La permissione non è stata esplicitamente ritirata, ma va da sé che qualsiasi altra finalità è moralmente discutibile. Dio permise anche che gli ebrei nel deserto mangiassero quaglie, anche qui, viste le circostanze (non è facile sopravvivere nel deserto), la permissione è data a fine di sopravvivenza. E’ lo stato di necessità a giustificare moralmente il comportamento umano nelle varie circostanze, non la ricerca del piacere e dell’apparenza.
Nei secoli passati l’uomo ha dovuto a volte lottare per sopravvivere. Noi siamo nati e cresciuti in un benessere che per noi può essere scontato, ma ricordiamo che talvolta le generazioni a noi precedenti hanno patito fame e freddo. Oggi è possibile disporre di indumenti che tengono caldo senza dover usufruire del pelo di un animale, pertanto non è più necessario confezionare pellicce per resistere al freddo e quindi non è più moralmente lecito giustificare l’uccisione degli animali al solo scopo di confezionare con il loro pelo costose pellicce (es. di visone, di volpe ecc.) che per un periodo erano anche diventate uno status symbol sociale, un oggetto di lusso da esibire senza che esso risponda in nessun modo a reali esigenze, cioè alla soddisfazione dei bisogni primari.
L’utilizzo delle risorse va quindi ponderato, va fatto discernimento tra “uso” e “abuso”. La persona che ritiene di avere realmente bisogno di introdurre nella propria dieta della carne di tanto in tanto, e lo fa con criterio, con moderazione, non commette peccato e non commette abuso. Se tuttavia è possibile evitare di dover disporre della vita di una creatura e ci sono valide alternative ad uccidere, allora tali alternative andrebbero prese e proposte, in quanto solo Dio è il datore della vita delle creature e pertanto questo è un concetto sacro ai credenti: la vita umana è un valore non negoziabile, la vita animale e poi vegetale e minerale vale anch’essa e di essa non va fatto abuso, né maltrattamento, né scempio, né spreco, né disprezzo, né indifferenza.
Secondo i Padri della Chiesa orientali e occidentali, è auspicabile astenersi dal consumo di carne e questa astensione è da inserirsi nelle pratiche ascetiche e comunque volte all’elevazione etica e spirituale, a conseguire la signoria dell’anima e dello spirito sulla carne. L’uomo è corpo ed è anima. Siamo Anime di origine celeste con un corpo fisico di natura terrestre e sebbene non sia cosa buona accentuare il dualismo che vedeva il corpo come “una prigione”, il credente o anche il non credente che tuttavia avverte il desiderio di crescita nelle virtù e nel bene è tenuto ad avere una disciplina interiore tale da far prevalere le facoltà superiori, quindi quelle intellettuali, morali e spirituali sulle esigenze del corpo fisico. In questa logica di elevazione etica e spirituale e di virtù praticata va intesa la moderazione nel mangiare e nel bere, nel consumo di carne o nell’auspicabile scelta di astenersi da esso ove possibile (senza cioè mettere a repentaglio la propria salute). La pratica del digiuno e di astensione dalla carne al venerdì (come pure quella digiuno a pane ed acqua consigliato dalla Madonna a Medjugorje il mercoledì e il venerdì) è anch’essa cosa molto buona e molto gradita a Dio; il digiuno è un mezzo importante di disciplina interiore e di purificazione, esso invita alla riflessione e alla preghiera, aiuta il combattimento spirituale e la vittoria sulle tentazioni e aiuta a liberarsi dalla mentalità consumistica e dall’angoscia (ma va praticato sempre con criterio al fine di non compromettere lo stato di salute, quindi se una persona non può digiunare non è obbligata a farlo).
Contrariamente a quanto alcuni cristiani (e diversi cattolici) purtroppo ritengono, l’attuale vegetarianesimo e veganesimo non sono “ideologie” e non sono “mode”. Se qualcuno le fa diventare tali, è nell’errore. Esse sono un modo di reagire al consumismo, all’abuso che l’uomo fa delle risorse naturali, all’eccessivo consumo di carne, allo scempio degli allevamenti intensivi del bestiame e della pesca intensiva. Trovo che ciò abbia una sua giustificazione anche psicologica nella ricerca di uno stile di vita più consapevole e rispettoso del Creato e quindi di Dio che ha permesso che si potesse disporre delle risorse ma sempre entro limiti morali. E’ la scienza stessa che in questi tempi sempre più viene in aiuto alla scelta vegetariana (eventualmente anche vegana) sia nel contesto della nutrizione individuale che in quello ecologico, cioè di produzione e utilizzo ecosostenibile delle risorse del pianeta. Abusare delle risorse del pianeta è quindi, per un cristiano, un peccato grave non solo contro Dio Creatore, ma anche contro il prossimo e contro la posterità. E’ un peccato “dei padri” le cui conseguenze “ricadono sui figli e sui nipoti”, cioè sulle generazioni future. Abusare degli animali è un peccato contro l’amore che dobbiamo a Dio e al nostro prossimo in quanto anche l’umanità futura ha diritto di godere del bene che la presenza degli animali nelle loro varie specie, dei vegetali e dei minerali, con le loro specifiche funzioni, portano. E’ pertanto un dovere morale avere  carità, custodire e tutelare la biodiversità del pianeta.
Per un cristiano, il carisma, il dono, la virtù più importante è la carità. La carità supera ogni conoscenza naturale e soprannaturale, ogni ricchezza materiale e ogni abilità e potere. La carità va usata verso tutti, verso Dio, verso il prossimo (ama Dio e ama il prossimo è il messaggio centrale del Vangelo), verso le creature di Dio e il Suo creato. Certo ci vuole ordine nell’esercizio della carità. La carità non è “bel sentimento” e non è disordinata. Travestire un cagnolino domestico da pagliaccio, ridicolizzandolo con gesti apparentemente affettuosi che però lo mettono a disagio e non rispettano la sua vera natura non è carità ma è disordine del comportamento umano. La carità verso gli animali implica il rispetto della loro vera natura e funzione, del mondo in cui essi sono strutturati. Se è lecito coinvolgerli nei nostri svaghi, ciò tuttavia non deve causare loro sofferenza, né umiliarne la natura. Pertanto – nonostante il fascino che certe persone provano per la tradizione e il folklore – eventi come la corrida e certi spettacoli del circo o dei delfinari e ai tempi attuali anche la caccia sono in contrasto con la morale cristiana che ritiene lesivo della stessa dignità umana maltrattare un animale e causargli inutili ed ingiuste sofferenze come pure è moralmente illecito distruggere un habitat naturale di una specie impedendole così di continuare a sopravvivere, distruggere le foreste, inquinare l’aria, i mari, i fiumi, la terra.
Si rifletta inoltre sul fatto che, nel cristianesimo, la mentalità è cristocentrica e non antropocentrica o umanista. Il cristianesimo non è umanesimo, non è neppure filantropia. Al centro è Cristo ed è scritto che “il disegno del Padre è quello di ricapitolare tutte le cose in Cristo”. In Cristo e non “nell’uomo” in quanto specie. Come detto prima, i giusti, i santi, i salvati (a prescindere dalla religione) prenderanno parte alla gloria di Cristo e pertanto a questo disegno glorioso che coinvolge l’umanità e il creato è rivolta la finalità del Creatore e la logica del nostro pensiero.
Solamente  l’uomo è creato “ad immagine e somiglianza di Dio” ed è quindi dotato, come gli enti spirituali di natura angelica, di autocoscienza e di un margine di libero arbitrio, di discernimento tra bene e male, di possibilità reale di aderire all’uno o all’altro, ovvero di salvarsi o di scegliere deliberatamente la separazione dalla logica del Regno dei Cieli. Tuttavia anche gli animali hanno una componente animica (un’anima sensibile). Gli scienziati della Cambridge University avevano dichiarato che, sebbene solo l’uomo sia dotato di autocoscienza, esiste una coscienza anche per gli altri mammiferi e molti uccelli e rettili mentre esistono forme di “coscienza collettiva” per animali come gli insetti. E’ da chiarire cosa essi intendano per “coscienza”, in senso scientifico, non morale. E’ comunque ovvio che molti animali tra cui i mammiferi sono capaci di provare emozioni come gioia e sofferenza, paura e divertimento (chi tra voi ha vissuto con un cane, un gatto, un cavallo ecc se lo avrà intuito) sebbene non in maniera complessa come quelle di un essere umano sano e integro. Dopo la morte, nessun animale è dannato, nessun animale è perduto. Esso “ritorna nel ciclo della vita”. E’ scritto anche che “tutto il Creato è presente nella Mente di Dio”. Nella Sua Luce, è possibile vedere ogni ente creato, nulla di quanto Egli opera va perduto. Sarà quindi possibile riavere, in questa Visione splendida, tutto quanto abbiamo amato, compresi gli animali. Il nulla non esiste e quando verranno “cieli nuovi e terra nuova”, tutta la creazione sarà rinnovata.