venerdì 6 dicembre 2013

Aritmie cardiache e terapia anticoagulante - appunti della lezione, novembre 2013

Il cuore è un organo muscolare striato autonomo, è come una doppia pompa che mantiene il sangue in continua circolazione a velocità variabile e batte perché riceve un impulso elettrico. Il sistema di conduzione elettrica del cuore è costituito da miociti specializzati: sono cellule deputate alla formazione e propagazione dell'impulso elettrico, utile per l'attivazione delle fibre muscolari cardiache. Questi miociti specializzati formano il nodo seno-atriale, il nodo atrio-ventricolare, il fascio di His con le sue divisioni (branche) destra e sinistra, la rete delle fibre di Purkinje. Il cuore si può dire che "auto-produca" l'impulso elettrico che lo fa contrarre, quindi il cuore ha in questi miociti specializzati il suo naturale "pacemaker".

Il nodo seno-atriale (SA node) è posto al di sotto dello sbocco della vena cava superiore. La sua depolarizzazione è lenta ed è il risultato dell'interazione di correnti ioniche. Ha un'innervazione autonoma.
Il nodo atrio-ventricolare (AV node) è collocato alla base del setto atriale e si continua al suo apice con il fascio di His, che trasmette l'impulso atriale ai ventricoli. La sua è una "funzione filtro" nel senso che, ritardando la trasmissione e limitando il numero di impulsi che arrivano ai ventricoli, impedisce lo svilupparsi di frequenze molto elevate. Svolte però la funzione automatica di "pacemaker sussidiario" in presenza di ridotta capacità funzionale del nodo seno-atriale (SA node). Ha un'innervazione autonoma.

Il fascio di His si divide in due branche, una destra e una sinistra. Queste strutture decorrono sul setto interventricolare per poi dare forma ad una rete fittissima di fibre chiamate di Purkinje, che servono per trasmettere l'impulso cardiaco rapidamente e pressoché simultaneamente ai due ventricoli.

Ogni fibra cardiaca è quindi caratterizzata da attività elettrica, ma anche meccanica, in quanto l'impulso elettrico da luogo ad una contrazione meccanica delle cellule del miocardio. Il cuore è una pompa praticamente... le sue 4 camere (2 atri e 2 ventricoli) in condizioni fisiologiche hanno un'attività elettrica sincronizzata e garantiscono una contrazione coordinata ed efficiente. Il ritmo spontaneo che parte dal nodo seno-atriale si chiama ritmo sinusale (RS).

Un'aritmia cardiaca è un'alterazione della fisiologica sequenza dell'attivazione atrio-ventricolare, una cariazione della ritmicità dei battiti o lo spostamento in altra sede del centro stimolatore fisiologico. L'aritmia cardiaca può essere una patologia cardiaca oppure un sintono di altre condizioni. Talvolta l'aritmia rappresenta un'emergenza cardiologica.

Le aritmie cardiache si classificano in base alla sede in cui orginano: sopra ventricolari e ventricolari. Si classificano anche in base alla frequenza: ipercinetiche ed ipocinetiche.

Inoltre, l'aritmia detta "fibrillazione ventricolare", che è un problema elettrico, può portare come conseguenza l'arresto dell'attività meccanica del cuore, quindi asistolia, arresto cardiaco. La TV, torsione ventricolare o torsione della punta cardiaca è ugualmente molto pericolosa. Ci sono aritmie meno pericolose, magari anche sintomatiche, ma che non portano ad arresto cardiaco e non degenerano. I sintomi dell'aritmia variano molto anche a seconda della percezione individuale soggettiva del paziente: possono essere cardiopalmo, dispnea, astenia, malessere, irrequietezza, insonnia, capogiri e vertigini. I sintomi variano o insorgono anche con l'aumento della FC (frequenza cardiaca) e se si associano altre patologie cardiovascolari. Un'importante conseguenza clinica delle aritmie è l'embolia. Infatti, una disfunzione nella meccanica delle camere cardiache può portare alla formazione di coaguli, di trombi, che se vengono mobilizzati ed entrano nel circolo possono andare ad ostruire dei vasi e provocare un TIA, un ICTUS ischemico, un'embolia agli arti superiori o inferiori...un embolia polmonare...

25% of the blood flow from the heart is pumped to the brain. Cerebral thromoemboli most frequently affect the middle cerebral artery.

La fibrillazione atriale (FA) è l'aritmia cardiaca più frequentemente riscontrata, detta anche di Braunwald, ci sono medici che la considerano "epidemica" ormai da quanto è diffusa nella popolazione almeno occidentale. Essa inoltre aumenta con l'avanzare dell'età. La FA è associata ad un incremento del rischio di eventi ischemici (ictus, stroke) a livello cerebrale. Pare che vi sia una maggiore incidenza nel sesso femminile e soprattutto in associazione ad una cardiopatia diagnosticata. Nell'FA non ci sono onde P che sono sostituite da onde ad altra frequenza chiamate onde f.

Tracciato ECG di paziente con fibrillazione atriale (FA).

Si nota la desincronizzazione atriale con attività elettrica frammentata, disorganizzata e asincrona.

La FA ha la tendenza a cronicizzare o comunque a ripresentarsi dopo essere stata trattata e corretta. Nelle prime 48 ore dall'insorgenza, se il cuore torna a ritmo sinusale in modo spontaneo si parla di episodio transitorio di FA, o parossistico. Se invece si presentano altri episodi di lunga durata che non rientrano spontaneamente, è necessario il trattamente farmacologico oppure la cardioversione elettrica: si parlerà di FA persistente che necessita di correzione. Se invece l'aritmia è refrattaria e non risponde alla cardioversione e anche dopo il trattamento farmacologico si verificano altre recidive, si parla di FA permanente, cronica.
La FA non sempre da sintomi e quando è sintomatica i sintomi sono soggettivi e variabili: vertigini, astenia, cardiopalmo, lipotimia o quasi-sincope, sincope, dispnea molto modesta in certi casi, scompenso cardiaco (insufficienza di pompa o scopenso cardiocircolatorio) in rapporto alla frequenza e alla durata della tachicardia.

Il trattamento della FA dovrebbe avvenire subito, nella fase acuta (entro 24-48 ore) in modo da aumentare la possibilità di ripristino del ritmo sinusale fisiologico. Quindi la diagnosi e il trattamento dovrebbero essere precoci per essere maggiormente efficaci. Per favorire il ritorno al ritmo sinusale si usano farmaci come il Cordarone, Rytmonorm, Almarytm (nomi commerciali), amiodarone.

La cardioversione è un intervento di tipo elettrico, elettroshock, che consiste in una vera e propria scossa somministrata al paziente in sedazione profonda (con Propofol di solito) mediante un defibrillatore caricato a 200 o a 220 o più, perché si possono fare più tentativi, fino a tre, eventualmente decide il cardiologo. Il paziente è addormentato e non si accorge della scossa. E' monitorato per vedere se torna a ritmo sinusale. Poi viene svegliato o meglio, viene stimolato il risveglio e il pz viene tenuto in osservazione e monitoraggio per alcune ore e poi se tutto va bene può essere anche dimesso, infatti la cardioversione si può fare in regime di day hospital, senza ricovero notturno.




L'ablazione si pratica introducendo un catetere per via percutanea attraverso una vena fermorale(o talvolta una vena giugulare interna). La punta del catetere (detto catetere ablatore) viene posizionata in specifiche localizzazioni all'interno delle cavità cardiache e viene somministrata una stimolazione elettrica al miocardio, per cercare di ripristinare il RS.

 
In ogni caso, l'obiettivo dei trattamenti sia farmacologici che elettrici è che il cuore ritorni a battere a ritmo sinusale (ripristino del RS).
Anche il rallentamento della frequenza ventricolare (FC) è un obiettivo.
Di conseguenza, si ottiene anche la riduzione del rischio trombo-embolico e quindi di eventi ischemici cerebrali (TIA e ICTUS ischemico).

Abbiamo detto che il rallentamento del flusso di sangue negli atri può portare alla formazione di coaguli (trombi) in sede atriale, i quali si possono staccare ed entrare nel torrente sanguigno (emboli) e raggiungere poi i vasi cerebrali o altri vasi, con conseguenze importanti o anche fatali.
Per prevenire le complicanze date dalla formazione di coaguli, si cerca di mantenere fluido il sangue, anche più fluido del normale. Si usano quindi dei farmaci detti anticolagulanti, ad esempio il Coumadin il cui principio attivo è la warfarina o warfarin sodico.



La terapia anticolagulante rallenta la colagulazione del sangue il quale si mantiene più fluido, riducendo il rischio di formazione di trombi e quindi di emboli che partono in circolo.

La TAO (terapia anticolagulante orale) è farmacologica ed è indicata in caso di: protesi valvolari cardiache, fibrillazione atriale, trombosi venosa profonda, tormboembolismo arterioso, embolia polmonare, arteriopatie periferiche.



La TAO è invece assolutamente controindicata in caso di: gravidanza e/o recente emorragia maggiore o se il paziente è già "scoagulato" per altri motivi (anche emofilia?) o chi è in terapia con antiaggreganti piastrinici, il che influisce sui meccanismi di coagulazione.

I farmaci anticoagulanti orali riduocono il rischio di formazioni di coaguli e trombi con conseguenze emboliche e vanno assunti da soggetti a rischio per queste eventi. Hanno un basso peso molecolare e nel sngue si legano a proteine, quindi solo una piccola parte rimane in quota libera ed è attiva. La loro emivita plasmatica varia quindi in base al tipo di farmaco e al dosaggio assunto. Gli anticolagulanti agiscono sulla vitamina K rendendo il sangue meno colagulabile. C'è dunque antagonismo tra anticolagulanti e vitamina K, pertanto se la dose di anticolagulante assunta è eccessiva, la vitamina K è l'antidoto e la si può assumere con un altro farmaco detto Konakion (fitomenadione vitamina K) o assumendo vitamina K tramite iniezione o endovena.
La TAO è efficace ma è anche rischiosa. Infatti, da un lato previene la formazioni di trombi mantenendo bello fluido il sangue, dall'altro può farlo diventare troppo fluido, il che potrebbe dare luogo ad emorragie anche serie. E' dunque importante trovare un equilibrio tra la prevenzione dei trombi e il rischio emorragico dovuto ad eccessiva fluidità del sangue.

Da una parte il rischio tromboembolico giustifica l'utilizzo degli anticolagulanti, dall'altra è bene non abusarne per non entrare nel rischio emorragico.

La gestione della terapia anticolagulante orale non è facile perché la risposta ai farmaci è soggettiva e varia da paziente a paziente. Non esiste un dosaggio standard uguale per tutti, ma ogni paziente andrà seguito affinché trovi il suo dosaggio e riesca a gestire la terapia a domicilio. Trovare il giusto range terapeutico è possibile solo grazie al controllo periodico dello stato di coagulazione, posto che il pz abbia una buona compliance cioè segua scrupolosamente la terapia prescritta.
Per valutare lo stato di colagulazione si misura il tempo che il sangue impiega a colagulare. Esiste un esame di laboratorio che si chiama tempo di protrombina (PT) e che viene espresso con la sigla INR (international normalized ratio). Maggiore è l'INR, maggiore è l'effetto anticolagulante. L'INR deve essere compreso in un dato range per evitare squilibrio in un senso o nell'altro (sangue troppo viscoso oppure troppo fluido). Nel caso di FA il range terapeutico da mantenere è INR compreso tra 2 e 3 (quindi circa 2,5). Se minore di 1 il sangue è troppo viscoso, come se il pz neanche prendesse gli anticolagulanti (forse il dosaggio è troppo basso o il pz non ha una buona aderenza alla prescrizione e salta le dosi prendendo il farmaco a casaccio o dimenticando di assumerlo). Se INR maggiore di 5-6 si ha rischio emorragico per sangue troppo fluido.



Sono in commercio degli apparecchi detti coagulometri per uso domiciliare, i quali riescono a stimare il rischio tromboembolitico ma non quello emorragico.

Se la TAO viene somministrata in urgenza a pz con sangue troppo viscoso, troppo denso e altro rischio di tromboembolico, allora si può dare una dose da carico di 5 mg di Warfarin per 5 o 6 giorni per poi programmare un controllo dell'INR. Un pz anziano deve assumere dosaggi più bassi e fare controlli più frequenti.

Dato che, sulla base delle misurazioni dell'INR, il medico può modificare il dosaggio, è opportuno che il paziente che assume la TAO compili un libretto in cui annoterà il dosaggio che assume e l'INR misurato per quel dosaggio. La TAO va assunta sempre alla stessa ora del giorno, possibilmente lontano dai pasti e ad un orario che consenta di modificare il dosaggio in base al risultato dell'INR.

Solitamente la TAO impiega due farmaci: Coumadin (warfarin sodico) e Sintrom (acenocumarol).



 Il Coumadin ha un emivita più lungo quindi effetto più stabile sull'inibizione della sintesi dei fattori dipendenti dalla vit. K, è dunque un farmaco di prima scelta che può essere assunto in un'unica somministrazione.
Il Sintrom ha un effetto più rapido ci sono diverse preparazioni commerciali. La preparazione da 1 mg aumenta la compliance, soprattutto in pazienti anziani o disabili o che hanno difficoltà ad aderire alla terapia e a gestirla a casa.

C'è un nuovo farmaco il cui principio attivo si chiama dabigatran etexilato e il nome commerciale è Pradaxa.

 

 In Europa è in utilizzo dal 2008 e dal 2011 è approvato l'uso per il trattamento del pz con FA non valvolare. Il Pradaxa agisce sulla trombina libera e anche su quella legata al colagulo, riducendo l'aggregazione piastrinica. Va assunto per OS (via orale) ed è assorbito a livello intestinale (quindi passaggio epatico, attenzione a pz con insufficienza epatica). Viene idrolizzato a reso attivo raggiungendo il picco massimo di concentrazione fra i 30 e i 120 minuti dall'assunzione, perché l'azione è ritardata dall'assunzione del pasto.
E' eliminato per via renale, quindi attenzione al pz con insufficienza renale e il suo effetto anticolagulante varia di meno rispetto a quello degli altri due farmaci citati sopra.  Riduce il rischio tromboembolitico ma poco quello emorragico e non richiede il monitoraggio periodico con l'aggiustamento della posologia e del dosaggio. Non esiste antidoto. Se assunto in dose eccessiva può (e deve) solo essere sospeso per definire una terapia alternativa. Va favorita la diuresi e controllata la funzionalità renale. Comunque il farmaco ha emivita breve.

In reparto la gestione della TAO è semplice perché in pratica la TAO è gestita dal personale sanitario soprattutto infermieristico, per quanto riguarda la somministrazione, il dosaggio e l'orario, poi il pz va educato circa la gestione domiciliare della TAO in vista delle dimissioni. Vanno educati anche i famigliari o il caregiver del pz. Viene consegnato il materiale informativo e il libretto per annotare la dose e l'INR dei successivi controlli oltre che quello misurato prima delle dimissioni. E' indispensabile che il medico di base aiuti il paziente e la sua famiglia o il caregiver a gestire la TAO a domicilio. Il medico di base può fare un'impegnativa per otto prelievi per i controlli di INR. Per evitare il traumatismo delle vene il pz potrà procurarsi un coagulometro (Coagucheck) se è un pz bravo nella gestione autonoma della terapia o ha un buon caregiver a casa. Generalmente questi pz assumono anche altri farmaci, spesso anti ipertensivi e diuretici... e devono controllare il peso corporeo e seguire la dieta di dimagrimento o di mantenimento, per non peggiorare il loro stato di salute. Gli eccessi alimentari vanno evitati come pure l'alcol e le verdure ricche di vitamina K come verdure a foglia larga e cavolfiori... nei pazienti in TAO la fluidità del sangue aumenta il rischio emorragico, va comunicato in caso di incidente con taglio o ferita e conseguente importante emorragia. Se al pz viene praticata un'iniezione intramuscolo o gli viene messo un CVP  si possono verificare più facilmente ematomi.

In conclusione:

- La terapia anticolagulante orale non è molto facile da gestire.
- I pazienti devono essere costantamente controllati e va misurato il loro INR con le dovute registrazioni del dosaggio.
- I pazienti e i loro famigliari o il caregiver vanno educati ed informati circa il rischio tromboembolitico e quello emorragico e la corretta gestione della TAO.
- I pazienti anziani vanno controllati di più perché hanno più problemi di compliance e le complicazioni aumentano anche il numero di ricoveri e il costo sanitario.
- La ricerca sul farmaco forse permetterà di avere farmaci migliori e quindi permetterà ai pazienti informati e ai loro famigliari di gestire ancora meglio la terapia e di migliorare la qualità della vita, a condizione che il paziente abbia cura anche del suo stile di vita, la sua dieta ecc.





domenica 1 dicembre 2013

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Sfondi suggestivi...e lo Stregatto!



Cose alquanto inutili ma carucce (nel senso di vagamente graziose) trovate su Ebay: ciondoli per lo più...

Un anello in argento con tre pietre naturali, disegno vagamente "celtico", "elfico", qualcosa del genere.







Il poster dello "stregatto" di Alice nel Paese delle Meraviglie...






Un ciondolo a forma di tartaruga.






Ciondolo in stile celtico








Ciondolo in stile "cardiologia". E si apre.







Ciondolo apribile con decorazione unicorno.







Finto cammeo: gatti in love.







Spilla a forma di ape.





Ciondolo rana.







Teschio finto decorato, macabro ferma carte.








Ciondolo a forma di spada.







Costume medievale/da elfo femmina/stile irlandese.











Chitarra GONFIABILE in vari colori.







Spilla a forma di unicorno con cristalli colorati.









Calze a righe colorate.







Ciondolo gufo azzurro.







Astuccio per matite o penne in legno.





Ciondolo libellula.

Appunti lezione di farmacologia: le benzodiazepine sono farmaci psicoattivi ipnotici e il legame farmaco-proteina

Le benzodiazepine (es. il Tavor (R) ) sono farmaci psicoattivi ad effetto ipnotico. Essi agiscono a livello del SNC, quindi sono sostanze psicotrope. La loro funzione è di tipo sedativo, tranquillante o sonnifero a seconda del tipo di farmaco e del suo dosaggio.
Tuttavia, anche un comune analgesico per il mal di testa può avere, oltre all'effetto antidolorifico, anche un effetto sedativo ipnotico, agendo anche a livello del SNC. Pertanto è importante conoscere l'azione di un farmaco, non solo l'effetto terapeutico ma anche l'effetto collaterale e sistemico su altri tessuti e funzioni fisiologiche che non sono quelle che desideriamo trattare. Se una persona prende analgesici per il mal di testa o altro dolore e ne sottovaluta l'effetto collaterale ipnotico, potrebbe trovarsi ad avere sonnolenza in momenti in cui è invece richiesta vigilanza (ad esempio mentre guida l'automobile).
E' importante conoscere gli effetti collaterali dei farmaci soprattutto a livello di neurotossicità, epatotossicità, nefrotossicità...
Le benzodiazepine sono sostanze psicoattive o psicotrope, pertanto agiscono a livello dei neuroni, che sono le cellule del SNC (encefalo, midollo spinale). Agiscono sul cervello, pertanto devono essere in grado di oltrepassare la barriera emato-encefalica. Il loro scopo è quello di ottenere un effetto tranquillante o soporifero, quindi di ridurre l'ipereccitabilità delle cellule neuronali. Ovviamente il loro utilizzo è giustificato dalla presenza di seri stati di ansia non diversamente gestibile, specialmente in pazienti con problemi cognitivi es. alcuni pazienti anziani o in pazienti psichiatrici, oppure per il trattamento delle condizioni di insonnia notturna anche temporanea, per esempio dovute a stress e preoccupazioni, senza che la persona abbia problemi psichiatrici o psicoemotivi in senso stretto (può essere una situazione temporanea di agitazione ed insonnia e stress dovuto a fattori esterni, per es. problemi al lavoro o nello studio o nelle relazioni, un lutto o altre cose ancora).
Ogni cellula neuronale ha un potenziale di membrana, di tipo elettrico, a riposo, che è circa -70 mV per i neuroni, che sono le cellule del sistema nervoso centrale. Non tutte le cellule dell'organismo sono eccitabili: lo sono i neuroni, le cellule muscolari comprese quelle striate del miocardio, e alcune cellule endocrine. Quando la cellula è a riposo, ha al suo interno (LIC) un eccesso di cariche negative (cioè caricate negativamente nel senso elettrico del termine) rispetto all'esterno (LEC). Ecco perché c'è il potenziale di membrana. Nel SNC, lo ione potassio e lo ione cloro sono più concentrati nel LEC che nel LIC e si forma un gradiente di concentrazione ionica diretto dal LEC al LIC. Ci sono canali ionici sulla membrana cellulare, di natura proteica, che consentono agli ioni di attraversarli secondo gradiente. La quantità di ioni che passa dal LEC al LIC è regolata anche dal grado di apertura della proteina canale. Maggiore è il potenziale di membrana, minore è l'eccitabilità della cellula. Olte alle proteine canale ci sono anche proteine pompa, che anziché sfruttare il gradiente di concentrazione ionica utilizzano ATP, cioè energia (adenin-tri-fosfato) che rilascia energia sganciando un gruppo fosfato e diventando ADP. Queste proteine pompa riescono a pompare gli ioni contro gradiente di concentrazione, ecco perché hanno bisogno di energia per farlo, perché praticamente compiono un lavoro. Un esempio è la pompa sodio-potassio, detta pompa ionica.

La molecola di acido gamma-ammino-butirrico o GABA è una sostanza endogena, fisiologica. Il soggetto che ne produce molto, dorme... se ne produce troppo poco rimane insonne...
Il principio attivo delle benzodiazepine, il DIAZEPAM si trova in farmaci commercializzati con i nomi noti di Ansiolin, Noan, Valium... il diazepam si lega a recettori diversi da quelli del GABA, ma aiuta il GABA a funzionare meglio. Non ne fa aumentare la produzione endogena, ma ne potenzia l'effetto, diciamo così.
Il diazepam delle benzodiazepine è una sostanza che può dare problemi di dipendenza psicologica o anche fisica. Ha diversi effetti colletarali per la maggior parte prevedibili dovuti spesso ad un'amplificazione dell'effetto. Per esempio una persona può assumere il diazepam (es. Valium) nella speranza di dormire di notte, ma poi si ritrova insonnolita anche per tutto il giorno dopo, con i riflessi rallentati, e se deve guidare o svolgere mansioni che richiedono vigilanza ci potrebbero essere prevedibili problemi. Allora questa è una amplificazione dell'effetto che da benefico è diventanto oltremodo scocciante, come se il farmaco avesse "funzionato troppo". Questo dipende dalla sensibilità individuale al farmaco, ma anche dal dosaggio assunto e se vi è stata concomitanza con altri farmaci e/o sostanze, anche l'alcol.

Cosa intendiamo per "distribuzione dei farmaci"? La distribuzione dei farmaci è il processo per cui i farmaci si distribuiscono nei fluidi (sangue, linfa, liquido extra cellulare o intra cellulare detto rispettivamente LEC e LIC, liquido cerebro-spinale detto LCS). L'eparina e il mannitolo per esempio sono molecole grosse: rimangono nel sangue perché non sono in grado, poiché troppo grosse, di extra vasare, di fuoriuscire dal capillare traminte le sue fenestrazioni per diapedesi, che è il movimento delle cellule che escono dal capillare sanguigno entro il quale stavano viaggiando sfruttando il circolo il cui movimento è impresso dall'azione pompante del muscolo cardiaco. Molecole più piccole che viaggiano nel corpo attraverso il circolo ematico riescono invece a fuoriuscire dai capillari e così raggiungono i tessuti circostanti, dove vanno ad agire a livello cellulare legandosi ai recettori che le cellule espongono all'esterno.

Altri farmaci però non si legano ai recettori esposti sulla membrana cellulare, bensì penetrano direttamente all'interno della cellula e raggiungono il LIC, il citoplasma o il citosol. Ciò dipende da come è fatto un farmaco... le cellule sono circondata da una membrana plasmatica fosfolipidica con annesse proteine di membrana con vario tipo e funzione, le quali sono sintetizzate dal DNA cellulare. I farmaci lipofili possono attraversare la membrana cellulare. Ci sono organi che sono fisiologicamente molto irrorati. Più un organo è vascolarizzato, e più ha modo di "succhiarsi" il farmaco che passa per quella rete di arteriole e capillari che va ad irrorarlo. L'encefalo è molto vascolarizzato.

Ci sono appunto anche molecole di farmaci che vanno a legarsi alle proteine tissutali che sono dei recettori sulla superficie cellulare, senza però penetrare nel LIC. Tale legame non è permanente. Il farmaco poi si stacca dal recettore esposto sulla cellula, comportandosi in modo dinamico.  Se le molecole di farmaco vanno a legarsi ad altre molecole, per esempio all'albumina, si forma un complesso bi-molecolare tra il farmaco e l'albumina e finché tale legame permane, il farmaco non può essere metabolizzato dal fegato ma rimane in circolo legato all'albumina.

Tra la quota legata e la quota libera di farmaco esiste un equilibrio dinamico. Se la quota libera di farmaco in circolo diminuisce, le molecole che erano legate si staccano per andare ad integrare la quota libera in calo e fare in modo che essa rimanga costante nel sangue. Perciò il legame farmaco-proteina è generalmente un legame debole in quanto il farmaco deve potersi staccare dalla proteina per andare a ripristinare la quota libera ematica. Se accade che il legame farmaco-proteina non si spezza e il farmaco non riesce più a slegarsi, allora ci possono essere effetti indesiderati dovuto all'accumulo del farmaco nei tessuti , intossicazione da farmaci che quindi non riescono neppure ad essere metabolizzati efficacemente a livello epatico e non vengono biotrasformati ed eliminati come dovrebbero.

sabato 30 novembre 2013

Appunti della lezione di farmacologia: somministrazione di farmaci per endovena, intramuscolo e con inalatore

La somministrazione di un farmaco per endovena consiste nell'iniettare il farmaco direttamente nella vena di una persona, o di un animale. Qui si fa riferimento comunque ad una persona della specie umana. La vene migliori saranno sufficientemente ampie e facilmente reperibili. Sono all'incirca quelle che si sceglierebbero per eseguire un prelievo di sangue, quindi il CVP (catetere venoso periferico) o l'ago cannula andranno per lo più infilati nella vena di un braccio, e solo secondariamente si cercheranno altri punti di repere venosi periferici, per esempio il dorso della mano o del piede. La cosa importante alla fine è che il farmaco arrivi in vena. Il medico può decidere di inserire un CVC (catetere venoso centrale) in succlavia sia per motivi di nutrizione del paziente che di somministrazione di farmaci. Il CVC posizionato solitamente dall'anestesista evita comunque il problema di non riuscire a trovare una vena, perché un certi pazienti non è facile per niente. Per certi farmaci è importante tenere conto del calibro del vaso venoso. Il farmaco che andrà iniettato in vena sarà in forma liquida e il fatto che si tratti di un liquido non significa che esso può anche eventualmente essere bevuto dal paziente (no, non è la stessa cosa!) e neppure iniettato via intramuscolo o nel sottocute. Attenzione dunque: è fondamentale informarsi bene circa la corretta via di somministrazione altrimenti si rischio di fare intramuscolo un farmaco che andava fatto in vena o vicerversa (!).
Ci sono alcuni farmaci che sono irritanti per le pareti vasali, e rischiano di provocare una flebite, cioè un'infiammazione della vena. In tal caso si spera magari di poter procedere con una somministrazione intramuscolo.
L'eparina invece non va mai iniettata nel muscolo, dove potrebbe provocare ematomi, bensì nel sottocute. Si tratta di un anticolagulante.

La via endovenosa presenta una biodisponibilità del 100%, cioè tutto il farmaco arriva direttamente nel circolo sistemico.

L'iniezione intramuscolare prevede invece che il farmaco arrivi al muscolo (solitamente il grande gluteo, la muscolatura femorale oppure il deltoide che è il muscolo della spalla). Il farmaco per iniezione intramuscolare si può presentare in fiale, liquido oppure in flaconi con o senza miscelatore (diluizione con solvente e farmaco soluto in polvere da sciogliere nel solvente per essere iniettato). L'iniezione intramuscolare se praticata così così può dare dolenzia del muscolo, specialmente se chi pratica l'iniezione non valuta bene il sito di iniezione sul gluteo e va ad irritare il nervo sciatico. Un altro inconveniente è la possibile risalita del farmaco iniettato dal muscolo al sottocute soprastante. Per impedire questo inconveniente, si dovrà tendere la cute con le dita della mano libera mentre si pratica l'iniezione, per poi rilasciare la cute DOPO avere estratto l'ago. In tal modo si va generare una linea detta "Z track" o linea Z, cioè si va a sfalsare il canale formato dall'inserzione dell'ago una volta che l'ago è stato rimosso e la cute rilasciata. In tal modo si impedisce la risalita del farmaco dal muscolo al sottocute.

I farmaci applicati sulla pelle penetrano nel sottocute mentre altri vengono assorbiti dai capillari del microcircolo. La sede di applicazione è locale e lo è anche l'effetto, come nel caso di unguenti e pomate, ma nel caso dei farmaci dei cerotti transdermici (es. nitroglicerina, nicotina, scopolamina), l'effetto diventa sistemico poiché il principio attivo passa attraverso la cute e raggiunge il microcircolo. Per avere una buona penetrazione cutanea, i farmaci ad applicazione topica devono essere lipofilici.

Un cerotto transdermico è solitamente formato da tre strati:
1. strato adesivo
2. strato poroso
3. strato impermeabile

Lo strato adesivo contiene il principio attivo e il collante che mantiene il cerotto adeso alla cute. Lo strato poroso è una membrana e lo strato impermeabile serve per rendere il cerotto idrorepellente, che non penetri acqua negli strati sottostanti.

Cosa si intende per tachifilassi? La tachifilassi è il processo per cui l'efficacia di un farmaco tende a diminuire nel tempo. Si può intendere come un processo di difesa delle cellule vasali nei confronti del farmaco che le raggiunge ripetutamente. I vasi smetteranno quindi di dilatarsi per accogliere il farmaco e le'effetto di quest'ultimo diminuirà nel tempo. Sarà dunque bene cambiare spesso il sito di applicazione del cerotto transdermico per evitare che il tessuto sviluppi tachifilassi.

Il cerotto transdermico va applicato indossando i guanti (non sterili) per evitare l'autosomministrazione, e lo stesso vale per gli unguenti e le pomate e in generale per tutti i famraci che penetrano tramite l'epidermide.

I dispositivi per la somministrazione di farmaci per via bronchiale e polmonare si chiamano inalatori. Vengono spesso usati dalle persone asmatiche. Le molecole di farmaco si aggregano tra di loro per formare particelle del diametro di circa 6 o 7 micron, le quali arrivano ai bronchi e correggono il broncospasmo dell'asmatico.
Quando il paziente inala il farmaco, parte di esso precipita nel cavo orale oppure viene intrappolato dal sistema muco-ciliare delle cellule che rivestono l'epitelio delle prime vie aeree. Talvolta il paziente deglutisce il farmaco. In tal caso si possono verificare effetti indesiderati. Il paziente andrà dunque istruito su come assumere correttamente il farmaco. Questi farmaci, destinati ad essere inalati, si trovano sotto forma di bomboletta spray o aerosol.  E' assente l'effetto di primo passaggio epatico.

I farmaci somministrati per via transmucosa comprendono:
- via congiuntivale locale
- via intranasale locale o sistemica
- via intravaginale locale
- via intrauterina locale

Appunti della lezione di farmacologia. Vantaggi e svantaggi della somministrazione di farmaci per via orale, sublinguale e rettale; effetto di primo passaggio epatico

Un farmaco può agire a livello locale, essere somministrato a livello locale, oppure agire a distanza dal sito di somministrazione.
Se ad esempio desidero curare una congiuntivite, potrò somministrare al mio paziente il farmaco antibiotico direttamente mettendolo nella sua congiuntiva infetta. Si tratterà questa di un'applicazione locale, detta anche topica (= localizzata).

Se invece non posso applicare direttamente il medicamento sul sito che desidero curare, perché magari si tratta di un tessuto facente parte di un organo interno al corpo, non è che per forza di cose si porta il paziente in sala operatoria e lo si apre per applicare il farmaco sul tessuto interno (che follia che sarebbe), pertanto dovrò somministrare il farmaco dall'esterno (per bocca o iniettandolo ecc) e il suo principio attivo sarà poi trasportato (dal sangue circolante!) al tessuto che desidero curare. Ovviamente sarà trasportato anche ad altri tessuti di altri organi che non sono malati, ed ecco perché alcuni farmaci danno effetti collaterali a livello di altri distretti organici...

...si parla di "assorbimento di un farmaco" per indicare il passaggio del farmaco dai siti di assorbimento AL SANGUE.

La maggior parte dei farmaci che si applicano sulla cute hanno un effetto topico, ma alcuni hanno effetto sistemico, ad es. i cerotti tansdermici.

La parte fisiologicamente deputata all'assorbimento delle sostanze alimentari come dei farmaci ingeriti NON è il fegato, che ha ruolo metabolico piuttosto, bensì l'intestino tenue. Quando si somministra un farmaco per via orale (per bocca) si deve tenere conto delle variazioni del pH. Lo stomaco dove andrà a finire ha pH acido, mentre l'intestino tenue che lo dovrà assorbire ha pH più verso la neutralità (cioè circa 7). Si dovrà tenere conto di questo ed incapsulare il farmaco in modo che i succhi gastrici dello stomaco non lo facciano fuori prima ch esso possa raggiungere il tenue. Una compressa è generalmente stratificata, cioè ci sono più strati. Questi preparati sono a lento rilascio. Lo strato esterno di rivestimento si scioglie e alla fine il farmaco libera il principio attivo nel tenue, dove sarà assorbito. Se il farmaco non è stato sperimentato su pazienti pediatrici, allora la casa farmaceutica è obbligata a scrivere che quel farmaco non è consigliato ai minori di 12 anni, in realtà può andare bene in certi casi anche per i bambini ma ovviamente va modificato il dosaggio e comunque il tutto dovrebbe sempre essere controllato dal medico pediatra.
Le compresse che resistono al pH acido dello stomaco sono dette gastro-resistenti. Il solco di incisione sulla compressa indica che essa può essere spezzata in due sulla riga del solco. Se non c'è il solco, non è consigliabile rompere la compressa perché ciò potrebbe limitare l'assorbimento del principio attivo.

Cosa intendiamo per  BIODISPONIBILITA' di un farmaco?? Questo concetto riguarda ovviamente le vie sistemiche ad eccezione di quella endovenosa. Infatti, per biodisponibilità si intende la percentuale di principio attivo somministrato che effettivamente riesce a raggiungere il circolo sanguigno sistemico (diciamo dall'aorta in giù) nonché la rapidità con la quale questa quantità di principio attivo riesce appunto ad immettersi nel circolo. Ecco perché la biodisponibilità non riguarda la somministrazione direttamente in vena, per la quale sarà ovviamente del 100% dato che il farmaco (o in generale qualsiasi sostanza) immessa direttamente in vena raggiunge per forza di cose il circolo sistemico in brevissimo tempo. Solo la via endovenosa ha infatti una biodisponibilità del 100%. Per le altre vie la percentuale varia e in certi casi diventa alquanto bassa. Ad esempio, un principio attivo può avere una bassa biodisponibilità se il farmaco viene assunto per via orale (OS, cioè oral somministration) ma una biodisponibilità più elevata se viene iniettato per via intramuscolare.

La biodisponibilità di un farmaco è influenzata anche da fattori individuali, come il metabolismo pre-sistemico, la motilità gastrica ecc.

La maggior parte dei farmaci assunti per via orale è assorbita a livello dell'intestino tenue (villi e microvilli con i capillari). Se il paziente ha poca motilità gastrico lo stomaco non fa arrivare la compressa o pastiglia del farmaco rapidamente, ma ci metterà più tempo. A volte mangiare qualcosa in concomitanza con l'assunzione della pastiglia o pastiglie aumenta la motilità gastrica e facilità il passaggio del farmaco dallo stomaco al duodeno e al tenue.

Anche una condizione di eccessivo riempimento gastrico (stomaco troppo pieno di cibo! Ha mangiato troppo! Si è ingozzato!) detto replezione, esteso anche in generale all'apparato digerente per intero, fa in modo che il cibo si interponga tra la parete dello stomaco prima, e dell'intestino poi, e impedisca l'assorbimento del farmaco che rimane "bloccato dentro tutto quel cibo, anzi quel chimo e poi chilo" pertanto il pasto non deve mai essere abbondante ma sempre moderato, e comunque questa  buona regola di salute vale anche quando non si assume alcun farmaco. La replezione inibisce la peristalsi, fa venire nausea a volte... invece la moderata assunzione di cibo, non troppo velocemente e senza "ingozzarsi" in fretta e furia, stimola la peristalsi, quindi l'assorbimento e anche, nel caso del cibo digerito, la formazione delle feci e la loro evacuazione. Vanno inoltre evitati cibi troppo grassi...perché molti farmaci sono sostanze lipofile... e perché i cibi ricchi di grassi "fanno male", diciamo così senza dilungarsi ora sui dettagli del perché e per come, ma è così...

Per quanto riguarda le preparazioni farmaceutiche, le forme liquide vengono assorbite prima e più facilmente delle forme solide.

Le forme liquide sono gli sciroppi, le emulsioni, i beveroni, le sospensioni, gli elisir... le forme solide sono le compresse, le pastiglie e le capsule.

N.B. Le capsue dei preparati a lento rilascio non vanno MAI aperte né fantumate, bensì ingerite tutte intere così come sono. Se non è possibile ingoiarle intere o il dosaggio sarebbe eccessivo, è necessario cambiare forma farmaceutica.

Moltissimi farmaci, forse la maggior parte di essi, vengono assunti per via orale (OS). Il vantaggio della via orale è che il paziente li può assumere autonomamente se è in grado, e non ha bisogno che qualcuno glieli somministri, come invece spesso accade nel caso delle iniezioni intramuscolo. La compliance del paziente, cioè la sua aderenza al protocollo terapeutico stabilito, è maggiore. La via orale è più sicura, più economica, più comoda. Gli svantaggi invece riguardano il fatto che il paziente deve essere collaborante, almeno per il fatto che deve poter deglutire senza problemi il farmaco. La comparsa dell'effetto del farmaco è più tardiva ovviamente di quella del farmaco somministrato endovena o iniettato intramuscolo o sottocute.  Talvolta sono necessarie più somministrazioni al giorno. Inoltre, in alcuni casi ci possono essere effetti gastrolesivi, come nel caso dei FANS (farmaci anti infiammatori non steroidei) che vanno assunti a stomaco abbastanza pieno oppure insieme ad un farmaco che fornisce protezione gastrica (gastroprottettivo o "salvastomaco").

N.B. La via orale NON va assolutamente confusa con la via sublinguale. Nel primo caso (OS) il farmaco viene ingoiato e transita attraverso l'apparato digerente, dove viene assorbito al ivello del tenue. Nel secondo caso, il principio attivo è rilasciato sotto la lingua, nella mucosa, e penetra nei capillari sotto la lingua, finendo direttamente nel circolo. La via sublinguale è più diretta e rapida di quella orale.  La pastiglia sublinguale va sciolta sotto la lingua e non deglutita.

Molti farmaci cardioattivi, per il cuore, vanno assunti per via sublinguale, come pure alcuni farmaci per regolare la pressione.

Facciamo un esempio tratto dalla vita quotidiana (se ne vedono di tutti i colori): una persona vuole assumere un farmaco anti infiammatorio e prende una bustina di OKI (ketoprofene sotto forma di sali di lisina) che fa parte della categoria dei FANS (farmaci anti infiammatori non steroidei). Vediamo che tale individuo non si preoccupa di procurarsi un bicchiere con dell'acqua e un cucchiaino per sciogliere il farmaco, bensì apre la bustina e si ficca la polverina sotto la lingua. Se capita qualche cosa al paziente, qualsiasi cosa, riconducibile a quel farmaco, la casa farmaceutica non ne risponderà a livello legale in quanto i suoi avvocati profumatamente pagati diranno che il paziente ha sbagliato via di somministrazione, in quanto era scritto che il farmaco andava assunto sciolto nell'acqua e non per via sublinguale.

C'è una via in parte analoga a quella sublinguale, nel senso che sfrutta la presenza della mucosa e dei capillari sottostanti: è quella dell'orifizio anale. I farmaci assunti per via rettale si trovano in forma di supposte. La mucosa che riveste l'ano e il retto è ben irrorata di sangue, pertanto anche la supposta può avere una buona biodisponibilità, tranne nel caso in cui il retto sia ostruito da materiale fecale, il quale limiterebbe l'assorbimento del principio attivo. Quindi prima di usare o somministrare una supposta, specie a persone non molto in controllo delle loro funzioni fisiologiche o della loro igiene personale a riguardo, andrebbe controllata la pervietà del retto. Se è presente materiale fecale, lo si deve rimuovere o pulire o in certi casi è bene praticare un clistere o enteroclisma anche a basso volume prima di procedere con la somministrazione della supposta. Per i bambini basta che sia pulito.

Un vantaggio della via sublinguale e di quella rettale è quello di saltare l'effetto di primo passaggio epatico, cioè il metabolismo epatico dei farmaci che invece avviene quando il farmaco è assunto per via orale e assorbito dal sangue nell'intestino tenue e quindi subito portato al fegato. Inoltre, se il paziente ha nausea e vomito o è disfagico, cioè fatica a deglutire bene, la via rettale evita problemi. Va bene anche per pazienti con problemi cognitivi o alterazione dello stato di coscienza.  Gli svantaggi della via rettale riguardano le patologie ano-rettali oppure le emorroidi. A volte una persona, a livello psicologico, può sentirsi imbarazzata... un bambino può cercare di espellere la supposta pensando di avere lo stimolo ad evacuare. Un anziano con problemi cognitivi può fare la medesima cosa o dirsi infastidito finché la supposta non si scioglie.

L'effetto di primo passaggio epatico riguarda sostanzialmente la via di somministrazione orale del farmaco. Il sangue che è refluo dall'intestino arriva al fegato, dove viene in buona parte inattivato. Al SNC arriva poco di quel farmaco. Anche il farmaco somministrato endovena verrà metabolizzato, perché attraverso il sangue arriva a tutti i tessuti, anche al fegato, ma dopo essere arrivato all'organo bersaglio (a meno che l'organo bersaglio non sia il fegato stesso). La via orale invece fa arrivare il farmaco al fegato prima che ai tessuti cui è destinato, il fegato lo metabolizza in buona parte e all'organo bersaglio arriva solo quel che resta di esso.




Appunti delle lezioni di farmacologia: origine e nome dei farmaci, utilizzodella tossina botulinica, esotossicosi da acqua

La parola "farmaco" deriva dal greco PHÀBMAKON (phàrmakon) e ha un significato duplice (come una medaglia con due facce): rimedio da un lato e veleno dall'altro... il che rende bene il concetto che un farmaco è a volte un po' come un'arma a doppio taglio, nel senso che all'effetto medicinale, terapeutico, benefico, talvolta si associa l'effetto collaterale.

I farmaci sono sostanze esogene (provengono cioè dall'esterno dell'organismo) e possono essere di origine naturale (ad es. estratti da piante come l'artemisina o l'atropina, di muffe come la penicillina, oppure di origine animale come un tempo l'insulina dai maiali, o l'eparina, o di origine minerale come i sali di litio, il ferro...) oppure di sintesi (prodotti in laboratorio). Un farmaco induce cambiamenti funzionali nelle cellule dei tessuti di un organismo vivente, e tali cambiamenti possono avere un effetto benefico per l'organismo, oppure nocivo. Queste modifiche funzionali possono essere di tipo chimico o anche fisico-chimico. Un farmaco può essere utilizzato, da solo o in combinazione con altri farmaci e sostanze, per prevenire una malattia, per diagnosticare una malattia ed infine per curare una malattia.

Con la parola farmaco in realtà si farebbe riferimento più che altro alla sostanza che ha effetto terapeutico, quindi al principio attivo. La parola medicamento invece fa riferimento al farmaco con l'aggiunta dei coadiuvanti, che sono altre sostanze che non sono terapeutiche in sé stesse ma che aiutano il farmaco a funzionare, per esempio, ad essere assunto dal paziente e/o assimilato.

Quando andiamo in farmacia, acquistiamo una specialità medicinale in forma commerciale, oppure un preparato personalizzato (detto galenico). 

Accanto ad alcuni preparati semi-sintetici (o semi-naturali) come alcuni antibiotici ci sono i farmaci biotecnologici (anticorpi monoclonali, alcuni enzimi, l'insulina...).

Nomi dei farmaci:
1. nome chimico: N-acetil-p-aminofenolo
2. nome generico: paracetamolo
3. nome commerciale: Tachipirina, Acetamol, Efferalgan (nomi registrati).

L'azienda produttrice o casa farmaceutica assegna alla molecola sintetizzata un nome generico, e poi un nome commerciale, per venderlo. Il nome generico deve sempre essere comunque riportato sul foglietto illustrativo del farmaco, e spesso è stampato anche sulla confezione esterna, sotto il nome commerciale. E' importante leggere e memorizzare il nome generico del farmaco oltre al suo nome commerciale, così è possibile chiedere, comprare, somministrare e utilizzare specialità medicinali con lo stesso principio attivo anche se dal diverso nome commerciale, ma ciò raramente ha importanza. Diciamo che l'equivalente generico di un farmaco famoso commerciale è un farmaco "non firmato", "non griffato", ad es. dire furosemide al posto di Lasix (è un diuretico)... per rendere l'idea, è un po' come i jeans, nel senso che una persona può acquistare un bel paio di jeans fatti bene, comodi, belli, e che le stanno benissimo e svolgono ottimamente la loro funzione anche senza che siano firmati Dolce & Gabbana o quello che è. I farmaci generici sono farmaci funzionanti come quelli famosi a livello del nome commerciale. Non sono farmaci "che funzionano meno" e non sono farmaci "taroccati" o "imitazioni inferiori" dei loro equivalenti (equivalenti, appunto!) famosi per il loro nome commerciale e sponsorizzati magari in televisione o sulle riviste (cosa che spesso capita a farmaci analgesici da banco per il mal di testa, i sintomi influenzali e via dicendo).

Il farmaco detto "da banco" è una specialità medicinale che non necessita di prescrizione medica (impegnativa del medico di base, ricetta, etc) per essere acquistata in farmacia.

Il preparato generico poi generalmente costa meno di quello "griffato", perché non si paga il nome...

...spesso il farmaco commerciale e il suo equivalente generico co-esistono, ma una volta scaduto il brevetto della casa farmaceutica, chiunque può produrre quel farmaco, nel senso di altre aziende farmaceutiche.


Parliamo ora della tossina botulinica. Essa è una delle sostanze di origine naturale più tossiche. E' una tossina batterica, di origine proteica, fortemente neurotissica. E' prodotta dal batterio Chlostridium botulinum. Pur essendo molto tossica, se opportunamente trattata e in piccolissime dosi, essa può essere usata per vari scopi terapeutici. Il suo nome commerciale è Botox. La tossina botulinica ha come principale effetto quello di essere un potente miorilassante, ma nel senso che provoca veramente la paralisi muscolare. Si tratta di paralisi flaccida, quindi i muscoli perdono tono, diventano molli, flaccidi, non si contraggono, ultra-rilassati. Questo effetto paralitico è opposto a quello della tossina tetanica che invece, anch'essa neurotossica, dà paralisi spastica (rigida, muscoli contratti). La tossina botulinica agisce a livello dei recettori dell'acetilcolina e sulla placca neuromuscolare. Il Botox però, che contiene la tossina a modiche dosi, viene usato, per esempio, per distendere le rughe del viso...dando al volto un aspetto più giovane... o più "da mummia inespressiva", a seconda dei punti di vista ; ) perché alla lunga il trattamento estetico con il Botox compromette la mimica facciale.

Ovviamente l'effetto del Botox non è che dura "per tutta la vita" ma solo per un periodo... poi finisce e le rughe ricompaiono e allora è necessario ripetere il trattamento, peraltro costoso... "soldi buttati via", pensano alcuni/e, ma anche qui oguno ha le sue idee personali...

Piuttosto, è da considerare più importante dal punto di vista medico l'effetto miorilassante della tossina botulinica somministrata in piccole dosi in pazienti con problemi spastici a livello muscolare (spasmi, contratture) quindi con l'effetto di de-contrarre i distretti muscolari in cui viene iniettata. Ovviamente il dosaggio sarà molto basso e il trattamente è locale.

Parliamo ora di una molecola fondamentale per la vita: l'acqua (H2O). Molte persone pensano che bere molta acqua faccia davvero bene alla salute..... non si può dare loro torto, ma non sempre è così. Dipende! Un paziente con problemi di edema, che è in terapia con diuretici per eliminare i liquidi in eccesso, non potrà certo bere acqua a volontà ma seguirà un regime di restrizione idrica, per esempio. 
Oltre ai casi patologici però esiste la reale possibilità di morire per esotossicosi da acqua. Questo avviene se si beve una enorme quantità di acqua in poco tempo. Non per niente ficcare un tubo in gola ad una persona e versarvi litri e litri di acqua di continuo ne provocava la morte e ciò era una forma di tortura... ma il decesso non è che avveniva perché "scoppiava lo stomaco" da quanto pieno era (beh, a volte forse avveniva realmente) ma più che altro, quando si parla di esotossicosi da acqua, si parla della formazione di un edema a livello cerebrale, cioè un accumulo anomalo di liquido, di acqua, che fa aumentare la pressione intracranica portando la persona al coma e quindi alla morte. L'intervento che riduce e poi elimina l'edema cerebrale impedisce il decesso e salva la vita al paziente.
Ma chi mai potrebbe cercare di uccidersi bevendo litri e litri di acqua senza fermarsi?! Non si parla di un mezzo di suicidio (per carità, non pensateci neanche: life is beautiful though sometimes tough) bensì di un comportamento che potrebbe in certi casi riguardare persone con serie infermità mentali ad es. demenza senile o morbo di Alzheimer (questi pazienti non hanno più il senno e non percepiscono la sete, e a volte tendono a bere o anche a mangiare praticamente di continuo se viene loro consentito l'accesso agli alimenti e alle bevande). Alcuni pazienti psichiatrici possono avvertire una sorta di compulsione a bere anche quando non hanno alcun bisogno di idratarsi. Anche alcuni bambini piccoli possono provare il desiderio di bere molto più del necessario (es. dal biberon riempito di tè freddo o acqua), ma in questo caso bisognerà valutare bene il perché lo fanno e correggere il comportamento educandoli a distinguere sete e fame fisiologiche da quelle "viziate".

mercoledì 27 novembre 2013

Farmacologia - appunti presi a lezione - L'istamina e i suoi farmaci antagonisti

L'istamina è una amina biologica, il prefisso richiama all'aggettivo "istologica" nel senso che si trova in abbonanza nei tessuti dell'organismo. Questa molecola regola diverse funzioni biologiche; in piccolissime quantità può essere assunta con la dieta, ma per il resto è sintetizzata a livello endogeno.

I farmaci detti anti-istaminici (antistaminici) sono tali in quanto sono antagonisti recettoriali dell'istamina. Questi farmaci competono con l'istamina per legarsi ai recettori naturali dell'istamina, in particolare i recettori H1 e H2.

L'istamina ha quattro recettori naturali: H1, H2, H3, H4. I farmaci antistaminici si legano ai recettori H1 oppure H2 dell'istamina al posto dell'istamina: ecco perché sono chiamati antagonisti recettoriali dell'istamina.

Fisiologicamente, le cellule dette a turnover (= ricambio) lento contengono l'istamina all'interno di granuli (es. le mastcellule, i mastociti nei tessuti e i basofili nel sangue). L'istamina viene rilasciata all'esterno della cellule mediante processo di degranulazione. Queste cellule possono ripristinare le loro riserve di istamina in granuli, ma per farlo impiegano almeno 10-15 giorni di tempo.
Le cellule a turnover rapido invece non contengono granuli di istamina bensì la producono immediatamente in forma libera e così la rilasciano, ripristinando più rapidamente le loro riserve di essa. Sono cellule a turnover rapido, ad esempio, le cellule parietali gastriche (parete interna dello stomaco), le stesse che rilasciano HCl (acido cloridrico, responsabile dell'acidità del pH nello stomaco).

Le cellule dei tessuti "di difesa, di barriera" (es cute, sottocute, gli epiteli intestinale e bronchiale ecc.) sono propense a rilasciare istamina più di altre istologicamente diverse. L'istamina viene rilasciata quando le cellule entrano in contatto con qualcosa di estraneo.

L'istamina che si lega ai recettori H1 delle cellule è talvolta responsabile delle reazioni allergiche in persone con ipersensibilità all'istamina. L'istamina che si lega ai recettori H2 può essere implicata nei casi di eccessiva acidità gastrica.

A livello del SNC (sistema nervoso centrale), l'istamina regola altre funzioni, per esempio, essa è coinvolta nella regolazione del ritmo sonno-veglia con la funzione di contribuire al mantenimento dello stato veglia e vigilanza. Legandosi ai recettori H1 delle cellule del SNC, l'istamina pare funzioni anche come inibitore del senso di fame. Ecco perché alcuni pazienti in terapia con antistaminici antagonisti per i recettori H1 tendono ad avere un maggiore appetito.

Il rilascio di istamina può essere o meno mediato dalle IgE (immunoglobuline E). Dal punto di vista clinico, la sintomatologia è la stessa nelle reazioni allergiche, siano o non siano coinvolte le IgE, e anche la terapia sintomatologica è la medesima. Il mastocita si degranula e rilascia istamina nei tessuti, tuttavia nelle reazioni allergiche gravi sono coinvolti anche altri mediatori dell'infiammazione. Quindi non è possibile sperare di risolvere i sintomi di una grave allergia usando solamente farmaci antistaminici. Andranno somministrati anche glucocorticoidi per controllare l'infiammazione (detta anche flogosi o processo flogistico).

Tra i sintomi precoci del rilascio di istamina nelle persone allergiche c'è spesso il prurito. Può comparire sensazione di calore più o meno localizzato, abbassamento della pressione arteriosa con conseguente aumento compensatorio della frequenza cardiaca.

In certi casi compaioni dei pomfi sulla cute, che sarebbero dei piccoli edemi molto localizzati nella pelle... talvolta vi è anche un aumento della secrezione gastrica con sintomo di acidità di stomaco o sensazione di bruciore in epigastrio. A volte ci può essere broncospasmo.

La vasodilatazione è parzialmente responsabile di questi sintomi, compresa la cefalea. L'edema locale è dato dall'aumento della permeabilità capillare.

L'istamina agisce a livello delle cellule che formano l'endotelio vascolare, in particolare, le cellule dell'endotelio più inerno e quelle della tonaca muscolare mediana, che sono sostanzialmente dei miociti, quindi cellule contrattili. Legandosi ai recettori H1 delle cellule endoteliali, l'istamina provoca un aumento del calcio. La cellula produce ossido nitrico (gas) per compensare l'aumento degli ioni calcio. Avviene quindi una decontrazione dei miociti dell tonaca muscolare, il che provoca vasodilatazione. La vasodilatazione è responsabile dell'abbassamento della pressione.

Anche i recettori H2 dei miociti vascolari accolgono l'istamina. La "cascata di eventi biochimici" che ha luogo è anch'essa responsabile della vasodilatazione. Poiché la vasodilatazione implica che l'istamina si sia legata sia ai recettori H1 che ai recettori H2 dell'endotelio vasale, nei casi gravi (con severa ipotensione e possibile shock) non è sufficiente limitarsi a somministrare farmaci antistaminici antagonisti per i recettori H1 soltanto, o H2 soltanto.

L'aumento della permeabilità vascolare è responsabile dei pomfi (piccoli edemi sottocutanei localizzati), dell'orticaria e anche dell'edema della glottide, pericoloso in quanto potrebbe ostacolare il passaggio dell'aria, impedendo la respirazione (la persona andrà allora tracheostomizzata nei casi più gravi se non si riesce a ridurre l'edema). Per ridurre l'edema vanno somministrati antistaminici antagonisti per i recettori H1.

Il prurito è dovuto invece alla stimolazione dei recettori H1 a livello delle terminazioni nervose periferiche.

Esistono per adesso in commercio farmaci antistaminici di prima, seconda e anche terza generazione. I farmaci di prima generazione, i più "vecchi", bloccano il legame tra l'istamina e i recettori H1. Questi farmaci non sono selettivi e purtroppo si è scoperto che vanno ad interagire anche con i recettori colinergici per l'acetilcolina, quelli di tipo muscarinico. Gli effetti indesiderati sono dovuti a questo, ad es. debolezza muscolare, stipsi per riduzione della motilità intestinale. Inoltre passano la barriera emato-encefalica e danno come effetto anche sonnolenza (ad alcuni pazienti va bene di sentirsi un po' sedati e riuscire a dormire meglio, per altri invece ciò è pericoloso, specialmente persone che devono svolgere attività che richiedono vigilanza ad es. guidare l'automobile o svolgere un lavoro con potenziale rischio di infortunio, oppure pazienti pediatrici). Inoltre, impedendo all'istamina di ridurre il senso di fame, i pazienti che assumono antistaminici possono avere un aumento di appetito, mangiare quindi di più e aumentare di peso. Va fatta attenzione specialmente se la persona è già sovrappeso o obesa o deve seguire una dieta particolare ad es. se paziente diabetico o che devo comunque controllare il peso corporeo o se paziente cardiopatico o con insufficienza renale cronica, ecc. 

I farmaci antistaminici di seconda generazione si è visto che hanno come effetto collaterale, in certi pazienti, l'insorgere di una pericolosa fibrillazione ventricolare, la quale, a differenza della meno pericolosa fibrillazione atriale, può mandare il paziente in insufficienza gravissima di pompa e infine in asistolia (arresto cardiaco). Pertanto alcuni di questi farmaci sono stati ritirati dal commercio.

I farmaci antistaminici più nuovi, di terza generazione, antagonisti per i recettori H1 dell'istamina non dovrebbero dare problemi a livello cardiaco.


La stimolazione dei nuclei vestibolari dell'orecchio interno (movimento delle cinetosi) stimola il centro del vomito, dando malessere, nausea ecc. Il farmaco di elezione contiene una molecola che si chiama scopolamina, la quale è un anti-colinergico puro. Solitamente la forma famaceutica in commercio è quella di un cerotto da applicare dietro l'orecchio quando si è in viaggio (automobile, pullman, barca, aereo...). Si è visto tuttavia che anche gli antistaminici di prima generazione hanno un effetto entiemetico (antivomito) e anticinetossico. Un'attenzione speciale va prestata alle donne in gravidanza, la cui nausea va trattata solo se seria e sempre sotto controllo medico perché alcuni farmaci possono essere almeno potenzialmente pericolosi per lo sviluppo dell'embrione e poi del feto.

N.B. Gli antistaminici con effetto similmente ipnotico (sonnolenza, sedazione) NON possono sostituire i farmaci sedativi e sonniferi (ipnotici) di elezione per il trattamento dell'insonnia o la sedazione (tranquillanti), i quali sono, per adesso, le benzodiazepine.

 Le reazioni allergiche lievi es. riniti stagionali possono essere trattate con antistaminici. Non ha invece alcun senso assumere antistaminici nel caso del raffreddore, il quale non è un'allergia ai pollini bensì un'infezione virale i cui sintomi possono essere trattati con farmaci che riducono la congestione nasale.

Ci sono persone che, "per mentalità ed abitudine o cattiva educazione sanitaria ricevuta", tendono ad acquistare antistaminici "da banco", cioè senza prescrizione medica: li utilizzano loro e a volte li danno o consigliano anche ad altri. Questo non va fatto. E' sempre meglio rivolgersi al medico, che potrebbe optare per antistaminici di terza generazione, migliori di molti farmaci di prima generazione o con meno effetti collaterali.

L'intossicazione da questi antistaminici può infatti dare convulsioni o aggravamento dei sintomi stessi, specialmente nel paziente pediatrico. Sempre attenzione se donna incinta.







martedì 26 novembre 2013

Farmacocinetica e Farmacodinamica - Vie di somministrazione del farmaco - appunti della lezione

In farmacologia, è detta farmacocinetica lo studio degli effetti  dell'organismo sul farmaco, cioè tutto ciò che l'organismo che subisce il trattamento farmacologico fa al farmaco stesso.
Si chiama farmacodinamica lo studio degli effetti del farmaco sull'organismo, sono intesi tanto gli effetti terapeutici che quelli detti collaterali.

L'assorbimento della molecola farmacologica consiste nel passaggio del farmaco dai siti di assorbimento esterni al sangue, quindi è il passaggio del farmaco nelle vie ematiche, nel circolo.

Un farmaco può essere somministrato per vie sistemiche oppure locali.

Le vie sistemiche di somministrazione sono: le vie enterali (orale, sublinguale, rettale) e le vie parenterali (intramuscolare, sottocutanea, endovenosa, polmonare, cutanea, mucosa, intraossea, intraperitoneale).

Le vie locali di somministrazione sono: via oculare, auricolare, intratecale, epidurale, intrarticolare, intrapleurica, vaginale e uterina, vescicale, orale, rettale, endovenosa, polmonare e cutanea...

Se il farmaco è assunto per via orale (per bocca) poi è assorbito a livello dell'intestino tenue. La compressa ingerita dal paziente si frammenta in pezzetti sempre più piccoli fino a liberare il principio attivo e i coadiuvanti. Il principio attivo è assorbito attraverso le mucose intestinali e arriva ai villi e microvilli intestinali. I capillari portano il sangue con il farmaco al circolo portale epatico. Il fegato metabolizza il farmaco: primo passaggio epatico. Si deve tenere conto di questo metabolismo per valutare benefici ed effetti nocivi della somministrazione di un dato farmaco per via orale. La via endovenosa è diretta ed evita questo passaggio.

Le molecole di farmaco lipofile o idrofile passano attraverso diffusione passiva o attiva.

La somministrazione parenterale per endovena prevede che il farmaco sia commercializzato in varie forme: fiale in vetro, flaconi in vetro con  imboccatura a diaframma in gomma e sigillo, flaconi con miscelatore con il diluente e il farmaco in polvere da diluire, contenitori di soluzioni in grosso volume come sacche in plastica o bottiglie in vetro.

La distribuzione del farmaco nell'organismo è il processo per cui il farmaco si distribuisce nei fluidi corporei es. sangue, linfa, liquidi extracellulari e liquidi intracellulari.